In passato la medicina tradizionale raccomandava al medico di mantenere una distanza emotiva dal paziente per poter conservare un certo grado di obbiettività. Ora invece si ritiene sia necessario abbattere le barriere e avere un approccio più empatico. Infatti è importante capire che cosa succede al paziente quando arriva la malattia. La malattia, specialmente se è grave, cambia ogni cosa: il paziente non ha gli stessi sentimenti che aveva prima di ammalarsi; è vulnerabile, in preda all’ansia e alla paura: non sa dare un significato alla sofferenza e alla malattia, che attenta alla sua identità; perde ciò che era, ciò che avrebbe potuto essere o fare in futuro, il tempo che avrebbe potuto vivere. Pertanto il paziente ha bisogno di essere ascoltato e compreso. Un rapporto empatico medico-paziente è essenziale per la qualità della cura. È necessario che il medico riesca a comprendere la sua esperienza della malattia, i suoi bisogni, i suoi sentimenti e le sue emozioni e che il paziente comprenda e accetti l’atteggiamento del medico; su questa base il medico può intenzionalmente assumere a pieno la prospettiva del paziente, essere motivato a perseguirne il bene, agendo insieme al paziente per risolvere o almeno ridurre i suoi problemi. Nel rapporto medico paziente empatia non vuol dire compassione, non vuol dire provare la stessa sofferenza del paziente a livello emotivo (io sento quello che senti tu), ma piuttosto interagire professionalmente, associando l’intelligenza emotiva a quella razionale (io comprendo quello che senti tu e voglio aiutarti). Altruismo, empatia, e un comportamento compassionevole si sono sviluppati nel corso dell’evoluzione nel contesto dei rapporti sociali. L’interazione medico paziente rappresenta una particolare e speciale forma di relazione sociale, una forma di aiuto. Forme di aiuto reciproco si ritrovano negli animali e fra gli esseri umani già in epoca preistorica; successivamente un singolo membro della comunità, lo sciamano, si fa carico di aiutare, di curare l’ammalato, che ha fiducia in lui, crede nelle sue capacità e gli si affida. Lo sciamano preistorico rappresenta la prima forma di assistenza sanitaria medica, caratterizzata da un buon rapporto tra l’ammalato e il guaritore (F Benedetti, Physiol Rev, 2013). Quali sono i meccanismi biologici che caratterizzano questo rapporto? Le neuroscienze hanno cominciato a capire le complesse funzioni che entrano in gioco sia nel cervello del paziente, dove elementi chiave sono le aspettative, la fiducia e la speranza, sia nel cervello del medico, in cui il comportamento empatico rappresenta il fattore essenziale. Hanno evidenziato i circuiti nervosi cerebrali coinvolti nell’empatia, sia quelli specifici emozionali (intelligenza emotiva), sia quelli cognitivi (intelligenza cognitiva) che agiscono in maniera integrata nel determinare le decisioni del medico: essi coinvolgono l’amigdala, l’insula, l’ippocampo e le loro connessioni con la corteccia prefrontale (F Benedetti, Physiol Rev, 2013). Il rapporto empatico ha sicuramente un effetto benefico, aggiuntivo e aspecifico, sulla qualità della cura (un bell’esempio dell’interazione tra mente e corpo), essenzialmente stimolando un effetto placebo nel paziente. Va sottolineato che il placebo non è solo una sostanza inerte, ma anche parole, rituali, simboli e significati; esso può attivare gli stessi meccanismi neurobiologici che sono attivati dai farmaci (ovviamente con entità della risposta, durata e variabilità individuale diversi). Ne sono un esempio l’azione degli oppiodi ed endocannabinoidi nella analgesia suscitata da placebo o della dopamina negli effetti positivi del placebo nel morbo di Parkinson (Rossettini et al. Archiv Physiother, 2020). Il rapporto empatico giova al paziente ma anche al medico, che vede ridotto il suo livello di stress con la diminuizione dell’attività del sistema simpatico e l’aumento di quella del parasimpatico che induce alla calma e alla distensione, riducendo la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna; inoltre viene stimolata la secrezione di ossitocina, che ha un effetto antistress, favorendo la comprensione e la fiducia fra le persone (J Decety, Am j Med, 2020). In definitiva si creano le migliori condizioni perché il medico possa entrare in empatia col paziente e utilizzare al meglio le conoscenze e competenze nel suo interesse. (“Prima di convincere l’intelletto occorre toccare e predisporre il cuore” – B. Pascal 1623-1662-).
Angelo Gatta
Professore Emerito di Medicina Interna
Università di Padova