Da sempre, pensatori e filosofi dibattono sull’essenza dell’uomo: chi è l’uomo?
Come si originano il pensiero, la coscienza, il modo del tutto personale con cui si vive una esperienza, e l’autocoscienza, la consapevolezza di sé? Sono frutto della materia o sono qualcosa di diverso, di immateriale? Ippocrate (V secolo a.C.) fu forse il primo ad ipotizzare una dipendenza del pensiero dal cervello mentre i suoi contemporanei ritenevano che avesse sede nel cuore. Anche Galeno (II secolo d.C) attribuiva un ruolo determinante al cervello. Cartesio nel XVII secolo teorizzò che il cervello e il pensiero fossero indipendenti; anche se l’anima risiede nel cervello essa è un’entità immateriale distinta dal cervello. Questa teoria ha dominato fino al IXX secolo, quando furono individuate le aree corticali che presiedono all’articolazione e alla comprensione del linguaggio e successivamente, nella prima metà del XX secolo, il canadese Wilder Penfield delineò la rappresentazione nella corteccia cerebrale delle varie parti del corpo. Ora sono state individuate ben 180 aree corticali con funzioni diverse (M.E. Glasser 2016). Importanti progetti a lungo termine (Brain, Human Brain Project, Human connectoma Project) sono stati elaborati per scoprire e simulare il funzionamento del cervello. Modernamente la scienza ha cominciato ad occuparsi anche della coscienza, precedentemente dominio solo della filosofia e della psicologia. Ha trovato e trova molte difficoltà, perché essa si avvale di metodi sperimentali, oggettivi, mentre non c’è niente di più intimo e soggettivo della coscienza. Alcuni aspetti sembrano assodati: secondo quanto postulato da Darwin, l’uomo è frutto dell’evoluzione e le sue peculiari facoltà mentali nel processo evolutivo sono associate all’aumento della massa cerebrale, in particolare della corteccia cerebrale. Grazie a strumenti innovativi, quali la risonanza magnetica funzionale, la PET, la magnetoencefalografia, l’optogenetica ed altre tecniche, si possono riconoscere e visualizzare le aree del nostro cervello e i circuiti neurali in attività, quando si prova una sensazione o si elabora un pensiero. Inoltre lo studio delle malattie neurologiche ha permesso di associare alcune anomalie comportamentali a lesioni di determinate aree cerebrali. Il processo della coscienza e dell’autocoscienza non sembra dipendere però da una specifica area, ma da una connessione e integrazione straordinaria di varie reti neurali di diverse aree cerebrali. Va poi sottolineato che il cervello è intimamente connesso al corpo dagli ormoni e da mediatori neuroumorali che costituiscono un “milieu” biochimico specifico; quindi ogni coscienza è unica, correlata al funzionamento del cervello, ma anche alla sensitività e all’integrazione delle sensazioni provenienti dal proprio corpo. Ma come può dalla materia e da un processo materiale scaturire il pensiero, il sentimento e la coscienza che sono immateriali? Nonostante gli strabilianti progressi delle neuroscienze, oggi conosciamo solo una minima parte del funzionamento del cervello; sono certo che in futuro la ricerca scientifica porterà ad ulteriori straordinarie acquisizioni, ma dubito che riesca a svelare il mistero dell’uomo, di fronte al quale la scienza dovrebbe fare professione di umiltà. Diceva Einstein, uno dei più grandi scienziati dell’umanità: “Chiunque sia veramente impegnato nel lavoro scientifico si convince che le leggi della natura manifestano l’esistenza di uno spirito immensamente superiore a quello dell’uomo, e di fronte al quale noi, con le nostre modeste facoltà, dobbiamo essere umili” (citato in H Dukas – B Hoffman, Princeton University press, 1989) e ancora: “Io non sono positivista. Il positivismo stabilisce che quanto non può essere osservato non esiste. Questa concezione è scientificamente insostenibile, perché è impossibile fare affermazioni valide su ciò che uno può o non può osservare. Uno dovrebbe dire: “Solo ciò che noi osserviamo esiste”. Il che è ovviamente falso” (citato in D. Brian, Einstein a life, Wiley & Sons ed. New York 1996).
Angelo Gatta