L’evoluzione darwiniana ha portato l’uomo al dominio sugli altri esseri viventi e sulla natura, che però non è rispettata, ma è stata sempre più sfruttata, fino a produrre un cambiamento dell’ecosistema foriero di catastrofi. La deforestazione per acquisire nuovi territori e i cambiamenti climatici hanno causato migrazioni umane verso terre più accoglienti, ma anche la migrazione di animali selvaggi che prima vivevano nelle foreste, lontani dall’uomo. Essi sono stati catturati, divenuti oggetto di commercio e portati nei grandi agglomerati umani; così è successo che virus degli animali hanno avuto l’opportunità di fare il salto di specie, di passare dagli animali all’uomo. Questa è la causa remota dell’attuale pandemia da coronavirus (CoviD-19 coronavirus disease): un virus (denominato Sars-CoV-2 dall’OMS) che viveva nel pipistrello ha infettato l’uomo nel mercato di Whuan in Cina, si è rapidamente diffuso nella popolazione di quella città e da lì nel resto del mondo. Da diversi mesi anche l’Italia si trova a dover fronteggiare una minaccia senza precedenti per la salute e la vita dei cittadini. Il virus è nuovo per l’uomo, che non ha specifiche difese contro di esso, né un vaccino. Egli, impaurito e sconcertato, come nelle pandemie del passato, ha naturalmente fatto ricorso alla medicina, con cui fin dai primordi dell’umanità ha cercato di difendersi dal male e dal dolore. Da allora fino ai nostri giorni la medicina, applicando il metodo scientifico, ha ottenuto successi straordinari, specialmente negli ultimi cento anni: si è allungata la vita, da circa 50 anni nel 1920, fino a più di 80 oggi. In questa occasione la medicina si è trovata però impreparata, poiché è stata sottovalutata l’allerta sul rischio di pandemie globali lanciata dagli organismi internazionali: non è stata approntata una organizzazione sanitaria in grado di affrontare la drammatica diffusione del virus e di garantire cure per tutti. L’evento pandemico ha assunto aspetti di particolare drammaticitá, come documentato dai medici italiani in un articolo pubblicato sul NEJMed il 20 marzo 2020. La pandemia ha messo in luce la fragilità dei sistemi sanitari anche nelle nazioni più avanzate: è insufficiente il personale sanitario, scarseggiano i dispositivi di protezione individuale per l’infezione, i posti letto in ospedale, i macchinari per la terapia intensiva. I medici, di fronte alla drammaticità della situazione, anche in mancanza di adeguata protezione individuale, si sono prodigati nell’assistenza ai malati di Covid, insieme al personale infermieristico, tanto da essere definiti eroi e di aver avuto pubblici ringraziamenti. Molti di loro si sono infettati e hanno perso la vita (in Italia circa 170 nei primi 6 mesi). Mentre nelle pandemie dell’antichità è successo che i medici fuggivano dalla peste, durante la pandemia da coronavirus è prevalsa l’etica medica, il giuramento d’Ippocrate: i medici sono stati vicino ai malati, con grande partecipazione emotiva, supplendo alla mancanza dei familiari, lontani a causa dell’isolamento. Oltre allo stress fisico, hanno dovuto affrontare anche uno stress morale, essendo spesso costretti tragicamente a decidere chi curare, a causa della insufficienza dei posti letto e degli strumenti di rianimazione, tanto che in Italia è dovuto intervenire il Comitato Nazionale per la Bioetica per dare indicazioni sull’accesso dei pazienti alle cure in condizione di risorse sanitarie limitate. Anche la medicina scientifica si è mobilitata. Prontamente sono state sperimentate terapie innovative, sono stati pianificati studi clinici controllati mettendo in atto una grande cooperazione scientifica internazionale. É in atto una frenetica attività per la messa a punto di un vaccino. Nonostante gli sforzi, a tutt’oggi però non esistono cure efficaci, né è pronto il vaccino. Paradossalmente i rimedi rivelatisi efficaci sono quelli utilizzati nelle pandemie dell’antichità: isolamento degli infetti, chiusura delle frontiere, distanziamento fisico. La pandemia rappresenta una bella lezione di umiltà. Nonostante gli straordinari avanzamenti delle conoscenze e della tecnologia, la medicina non è onnipotente e non riesce a garantire l’invincibilità e l’invulnerabilità dell’uomo, come risulta oggi con grande evidenza durante la pandemia, che ci ricorda la fragilità dell’esistenza umana.
Angelo Gatta
Professore Emerito di Medicina Interna
Università di Padova