Fra ricerca e cura del malato c’è uno stretto rapporto. Il clinico cerca di risolvere i problemi di salute del paziente, applicando alla diagnosi e terapia le conoscenze fornite dalla ricerca scientifica biomedica. Alla radice del percorso culturale che porta a collegare la clinica al sapere medico, può essere citato il celebre insegnamento tenuto a Padova al letto del malato verso la metà del 1500 da Giovanni Battista dal Monte (1489-1551), ritenuto il fondatore della medicina clinica: in precedenza l’insegnamento era solo teorico e consisteva nella discussione dei testi di medicina dell’antichità; inoltre sempre a Padova nel 1764 fu introdotta dalla repubblica di Venezia una cattedra di medicina pratica in nosocomio, che può considerarsi l’origine della clinica. Da qui parte il legame fra cura del malato e conoscenza scientifica, acquisita con il metodo sperimentale, che ha trasformato la medicina da arte a scienza. Se lo scopo della medicina è quello di assicurare salute e benessere, certamente un ruolo preminente, utilizzando tutte le conoscenze acquisite nei vari settori teorici della scienza medica, è svolto dalla clinica. La scienza e l’integrazione fra le varie discipline sono alla base di una buona cura del paziente. In altre parole, la qualità della cura dipende dalla qualità della scienza medica da cui attinge le conoscenze. La clinica poi non usufruisce solo della ricerca effettuata da altre discipline, ma essa stessa contribuisce all’aumento delle conoscenze, a cominciare dagli studi di fisiopatologia (volti a conoscere le cause e i meccanismi che portano alla malattia) applicati al caso clinico, a quelli di casistica e di epidemiologia clinica, agli studi clinici controllati che sono alla base della evidence based medicine, la medicina basata sull’evidenza dei dati statistici, ottenuti confrontando l’efficacia di uno specifico trattamento terapeutico in un gruppo di malati, rispetto a un placebo (sostanza inerte senza proprietà farmacologiche) somministrato in un gruppo analogo di malati. Sulla base dei risultati di tali studi, per superare la soggettività del trattamento medico ed evitare gli errori medici, sono state elaborate linee guida per il trattamento delle malattie, standardizzando progressivamente le conoscenze e la prassi medica. Non c’è dubbio che con tale metodologia si sono ottenuti successi straordinari, anche se oggi si sta andando verso un superamento delle linee guida, verso una medicina personalizzata. La ricerca si avvale sempre più di laboratori in cui si effettuano ricerche traslazionali, che mirano a trasformare in attività clinica i risultati della ricerca di base, partendo dai problemi del paziente e ritornando al paziente, in quanto i risultati ottenuti in laboratorio hanno una ricaduta immediata nella cura. Viene effettuata una ricerca volta a riconoscere i meccanismi cellulari e molecolari che inducono alla malattia. Genomica (studio del patrimonio genetico), proteomica (studio del patrimonio proteico) e metabolomica (studio delle alterazioni funzionali del metabolismo) non sono più confinate alle scienze di base, ma rientrano anche nella ricerca clinica. Ciò porterà sempre di più alla personalizzazione e precisione delle cure (medicina personalizzata). Se l’attività di ricerca si collega strettamente alla qualità della cura, considerando che l’Università è la sede primaria della ricerca, un’altra prospettiva porta a considerare i rapporti tra sistema sanitario e medicina universitaria. Nel rapporto tra Università ed Enti assistenziali ad una iniziale prevalenza degli interessi didattici e scientifici dell’Università sull’assistenza, si è andata sostituendo una prevalenza della parte assistenziale. Ciò si è verificato in connessione con le modificazioni della legislazione operante in campo sanitario, applicata anche all’Università. Siamo quindi passati da una legislazione (legge Crispi della fine del 1800) che prevedeva “la clinicizzazione” degli ospedali con diritto di avere a disposizione i malati per gli scopi didattici e di ricerca, ad un regime assistenziale in cui l’Università è inserita nel sistema sanitario nazionale e coinvolta direttamente nell’erogazione dell’assistenza. Ciò ha comportato una progressiva “ospedalizzazione” della medicina universitaria a discapito della ricerca. Bisognerebbe sempre ricordare che per migliorare la pratica clinica, anche prima della struttura organizzativa, è essenziale che venga sviluppata e implementata la ricerca.
Angelo Gatta
Professore Emerito di Medicina Interna
Università di Padova