L’uomo è un essere sociale. Secondo alcuni scienziati, nell’evoluzione darwiniana, il fattore determinante dell’incremento della grande massa cerebrale che lo ha differenziato dalle scimmie, è stato lo sviluppo di relazioni, dapprima nella famiglia, poi nella comunità. Fin dalla nascita è subito entrato in rapporto con gli altri, in primis con i genitori da cui ha ricevuto non solo il dono della vita, ma anche della sua continuazione, non essendo in grado di sopravvivere da solo. Quindi il bisogno di relazioni è scritto nel DNA dell’uomo e il corrispettivo neurofisiologico nei suoi circuiti neurali (i cosiddetti neuroni “specchio”) distintivi della specie umana, che consentono di rapportarsi agli altri, di imitarli, e addirittura di comprendere e anticipare i loro pensieri (teoria della mente). Ciò è alla base dello sviluppo dell’intelligenza sociale, della attuale straordinaria capacità di cooperazione, che si concretizza anche nella solidarietà, cioè dare liberamente, gratuitamente ad un altro essere. La solidarietà non ha solo una valenza etica, ma anche sociale: crea e alimenta relazioni, è alla base dello sviluppo di una società armoniosa, basata sui valori di interdipendenza, condivisione e cooperazione. Ciò spiega anche come nella moderna società, nonostante l’individualizzazione della vita sociale, l’indifferenza reciproca, l’avidità egoistica, sostanziata da una economia volta al profitto, persista in larga misura la solidarietà, che si esprime, sia individualmente, sia in forme organizzate, in vari settori: in quello socioassistenziale, in campo culturale e sportivo, in caso di situazioni di emergenza, fino alla cooperazione e solidarietà internazionale. In Italia la solidarietà compare nella Costituzione dove all’art 2 è collegata ai diritti inviolabili: «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica, politica e sociale»; e all’articolo 119 dove si affida alle autonomie locali il compito di «promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale». La solidarietà, assimilata a un diritto del cittadino, assume quindi un valore civico, sociale, che va promosso e stimolato. L’Italia è ricca di solidarietà; il censimento ISTAT del 2018 registra fra gli italiani con più di 14 anni un tasso di volontariato totale del 13,2%, corrispondente a oltre 6 milioni di persone; tra queste, il 10,7% partecipa a forme di volontariato organizzato (Centro-nord 13,8%, Sud 10,2%); gli altri esercitano volontariato individuale. Le istituzioni non-profit sono oltre 330.000. Esse si avvalgono del lavoro di 5,5 milioni di volontari e di ottocentomila dipendenti.
In medicina la solidarietà assume un valore particolare, perché rivolta a persone sofferenti, particolarmente fragili nel momento della malattia, che impaurisce, offusca il futuro, costringe a riflettere sui limiti umani e sulla morte.
In ambito sanitario le istituzioni di volontariato (più di 11.500) rappresentano il 3,4% del settore non-profit e offrono servizi, ospedalieri e non, di riabilitazione, di soccorso sanitario, di donazione di sangue e organi.
Oltre che dal volontariato, è essenziale che la solidarietà venga mostrata anche dagli operatori sanitari: basta donare attenzione e rispetto, un sorriso, un incoraggiamento, una rassicurazione, entrare in empatia col paziente, riconoscendo che tutti gli uomini appartengono alla grande famiglia umana e sono accomunati dal medesimo destino.
A questo riguardo voglio ricordare le parole di un grande neurochirurgo contemporaneo, Henry Marsh, tratte da un suo recente libro: “…man mano che invecchio, non posso più ignorare di essere fatto della stessa carne e dello stesso sangue dei miei pazienti, e quindi vulnerabile come loro. Così oggi, rispetto al passato, provo una pietà più profonda per loro: so che anch’io, prima o poi, sarò bloccato come loro nel letto di un reparto affollato di ospedale, a temere per la mia vita” (H. Marsh, Do No Harm, 2015).
Angelo Gatta
Professore Emerito di Medicina Interna
Università Degli Studi di Padova