La nuova visione dello scompenso nella cirrosi epatica
La cirrosi epatica è caratterizzata da un decorso clinico piuttosto eterogeneo. Solitamente la malattia è infatti suddivisa in una fase cosiddetta “compensata” e una fase “scompensata”, che subentra alla precedente con l’insorgenza delle complicanze tipiche della patologia: il versamento ascitico (ovvero l’accumulo di liquido a livello addominale), l’encefalopatia epatica (disordini comportamentali e cognitivi derivanti dall’incapacità del fegato di eliminare le tossine, in particolare l’ammonio), il sanguinamento gastrointestinale conseguente all’aumento delle pressioni a livello della vena porta, la vena principale del fegato. Il passaggio da una fase all’altra della malattia è assolutamente repentino, e attualmente non esistono parametri che ci permettano di prevederlo con assoluta sicurezza (per quanto sia comunque chiaro che la persistenza della causa di malattia, ad esempio del consumo alcolico, aumenti notevolmente il rischio di sviluppare complicanze). Altrettanto repentino e significativo è il peggioramento della prognosi nei pazienti in cui la cirrosi epatica diventa scompensata: la malattia infatti impiega anni per svilupparsi, e successivamente decorre asintomatica per la maggior parte del tempo. Il paziente al momento della diagnosi (che il più delle volte non coincide quindi con l’inizio della malattia) ha una sopravvivenza mediana stimata di circa 12 anni, ma lo sviluppo delle complicanze comporta un inesorabile aumento della mortalità, che supera il 50% a 5 anni.
Conoscere i meccanismi con cui si sviluppa la cirrosi scompensata è fondamentale per prevenirla e ridurre quindi il rischio di mortalità in questi pazienti, e proprio per questo è attualmente oggetto di un profondo interesse in ambito scientifico.
A questo proposito, sono stati recentemente pubblicati i dati derivanti dallo studio multicentrico PREDICT, in cui sono stati osservati 1273 pazienti cirro-
tici ricoverati in seguito ad una cosiddetta “Acute De-compensation (AD)” (scompenso acuto), ovvero allo sviluppo di una delle complicanze della cirrosi sopra descritte per cui si è reso necessario il ricovero ospedaliero del paziente. Dopo 90 giorni dal ricovero, i pazienti studiati presentavano tre diversi tipi di decorso:
– il primo gruppo sviluppava una grave insufficienza multiorgano nei 90 giorni successivi al-l’AD, chiamata Acute on Chronic Liver Failure (ACLF) caratterizzata da una mortalità a 90 giorni del 67%;
– il secondo gruppo dopo la dimissione veniva sottoposto a uno o più ricoveri per ulteriori AD; per il decorso di questi pazienti è stato coniato il termine “Cirrosi scompensata instabile” (UDC), che risulta caratterizzato da una mortalità a 90 giorni del 35%;
– un altro gruppo di pazienti non presentava ulteriori complicanze nei 90 giorni successivi; il decorso clinico di questi soggetti è stato definito come “Cirrosi scompensata stabile” (SDC), con una mortalità a un anno di circa il 9%.
Tuttavia, le complicanze della cirrosi non necessariamente richiedono un ricovero ospedaliero e possono svilupparsi in modo lento e progressivo. Spesso infatti il versamento ascitico si accumula nell’arco di settimane o mesi, e può essere gestito dallo specialista epatologo ambulatorialmente senza necessariamente ricorrere ad un ricovero ospedaliero, così come i gradi più lievi di encefalopatia epatica. Questa tipologia di scompenso è stata recentemente definita “Non Acute Decompensation (NAD)” (scompenso non acuto). Al momento attuale, non esistono informazioni definite riguardo a quanto sia frequente NAD e se questa forma di scompenso presenti una prognosi differente rispetto a quella dei pazienti con AD. Da alcuni dati preliminari in nostro possesso, sembra che in più del 20% dei pazienti il primo scompenso sia proprio una NAD, che spesso precede l’AD e si associa ad una riduzione della sopravvivenza. Sembra quindi che agire su queste forme apparentemente più blande di scompenso possa essere fondamentale per migliorare la prognosi dei pazienti con cirrosi.