La paracetesi è una procedura che prevede la puntura della parete addominale allo scopo di prelevare o evacuare il liquido ascitico accumulato nella cavità peritoneale. Tale procedura può essere eseguita sia con finalità diagnostiche che terapeutiche, per ridurre ad esempio la pressione determinata sugli organi addominali dal liquido in eccesso che può ostacolare la respirazione o provocare dolore.
La paracentesi rappresenta attualmente uno strumento di estrema utilità per coloro che si occupano di pazienti affetti da cirrosi epatica. Le ultime linee guida pubblicate nel 2018 dall’Associazione Europea per lo studio del Fegato hanno ribadito il ruolo centrale di questa procedura nella gestione della cirrosi in stadio avanzato. Una paracentesi dovrebbe essere infatti eseguita in tutti i pazienti con ascite di nuovo riscontro per facilitare la diagnosi della causa del versamento addominale, e in quei pazienti cronici che presentano un peggioramento repentino della malattia epatica allo scopo di escludere una peritonite batterica spontanea, la più comune e severa infezione individuata in questi malati. La paracentesi di ampio volume (ovvero il drenaggio di cospicue quantità di liquido ascitico per mezzo di una cannula) costituisce inoltre la terapia di prima linea nei pazienti con ascite tesa e in quelli con ascite non responsiva alla terapia diuretica1.
L’importanza della paracentesi era nota anche fra gli antichi: il medico romano Aulo Cornelio Celso nella sua opera De Medicina descrisse per primo questa procedura, soffermandosi anche a raccomandare alcuni accorgimenti tecnici quali l’utilizzo di un tubo di bronzo dotato di collare flangiato per evitare la perdita dello strumento nell’addome del paziente.
“Habitué” della paracentesi fu lo stesso compositore tedesco Beethoven, senza dubbio uno dei pazienti più illustri ad essere stato sottoposto a ripetute procedure evacuative- se ne contano almeno quattro solo tra Dicembre 1826 e Febbraio 1827.
Fino alla prima metà del Novecento la paracentesi di ampio volume eseguita in vere e proprie “cliniche della paracentesi” ha rappresentato il pilastro del trattamento dell’ascite nei pazienti affetti da cirrosi epatica.
A partire dalla fine degli anni Cinquanta tuttavia l’introduzione di diuretici molto efficaci (in particolar modo lo spironolattone) e la crescente preoccupazione per i possibili effetti deleteri della paracentesi di ampio volume2 (infezioni, emorragie, perforazione di visceri addominali, alterazioni elettrolitiche, insufficienza renale, encefalopatia) hanno relegato questa metodica ai margini del trattamento dell’ascite. Solo negli ultimi anni Ottanta alla luce dei risultati di alcuni importanti studi clinici la paracentesi è tornata ad assumere il ruolo fondamentale che riveste tuttora. Detti studi hanno infatti dimostrato che questa procedura, seguita dalla somministrazione endovenosa di albumina umana (la più importante proteina presente nel nostro sangue), è più efficace e tre volte più veloce rispetto alla terapia diuretica nell’eliminare l’ascite, e che, paragonata a quest’ultima, non dimostra un significativo aumento delle complicanze né un incremento della mortalità per i pazienti trattati3.
Al giorno d’oggi dunque le più recenti evidenze scientifiche confermano il valore clinico della paracentesi, procedura antichissima ma pur sempre attuale.
Bibliografia
- Angeli P. et al. EASL clinical practice guidelines for the management of patients with decompensated cirrhosis, Journal of Hepatology. 2018; 69(2): 406-460
- Liebowitz HR. Hazards of abdominal paracentesis in the cirrhotic patient. NY State J Med. 1962; 62: 2223-2229
- Gine’s P. et al. Comparison of paracentesis and diuretics in the treatment of cirrhotics with tense ascites. Results of a randomized study. Gastroenterology 1987;93:234-241
Simone Incicco