Nel corso dell’evoluzione, l’uomo ha conseguito molti progressi. Uno dei principali è stata la relazione sociale, la cooperazione e la solidarietà. Altre conquiste sono state lo sviluppo della civiltà e l’evoluzione della cultura che hanno portato alla affermazione dei diritti umani e alle regole per una convivenza civile, lo sviluppo della scienza e di tecnologie che facilitano la vita dell’uomo, ne migliorano la qualità e allungano il tempo dell’esistenza. Ma allora perché la guerra?, che distrugge la vita, distrugge ciò che l’uomo ha costruito, crea povertà, dolore e tragedia. Queste sono le conseguenze, anche ai nostri giorni, nel conflitto della Russia contro l’Ucraina. L’uomo ama il suo prossimo e contemporaneamente lo odia. Costruisce città, opere straordinarie e contemporaneamente le distrugge. La guerra sembrerebbe contraria alla natura umana, eppure è sempre esistita e sembra connaturata alla sua essenza. Perché la guerra? È la domanda che fin dall’antichità si sono posti pensatori e filosofi, alcuni condannandola, altri giustificandola, declinando le motivazioni che la definiscono giusta e/o necessaria. E’ la domanda che si sono posti più recentemente, negli anni 30 del secolo scorso, illustri personaggi, su invito dell’Istituto Internazionale per la Cooperazione intellettuale. Fra questi Albert Einstein e Sigmund Freud. Einstein si chiede come sia possibile che poche persone al potere riescano a convincere le masse alla guerra, che per il popolo significa sofferenza, morte e povertà. Andando al nocciolo della questione, una delle spiegazioni che si dà è che la causa risieda dentro se stessi, nel mondo della psiche: l’uomo è preda di pulsioni ed emozioni negative che danno libero sfogo all’odio e al piacere della distruzione e la ragione non riesce ad avere il sopravvento su di esse. Lo scienziato chiede allora allo psicanalista Freud se sia possibile liberare l’uomo dalla ineluttabilità della guerra, rendendolo capace di resistere alle psicosi dell’odio e della distruzione (Carteggio Einstein- Freud, 1932). Freud conviene con Einstein che la radice della guerra risiede nella psiche, precisando il quadro: nell’uomo coesistono pulsioni positive, che tendono alla vita e portano a cooperare (eros-amore) e pulsioni negative che tendono alla morte e portano alla distruzione e all’autodistruzione (thanatos-odio). Esse sono contrapposte, ma strettamente connesse e dalla loro interazione derivano i comportamenti umani. Non è possibile sopprimere o eliminare le pulsioni negative, perché fanno parte della natura umana. Quindi secondo Freud per allontanare la fatalità della guerra, le uniche possibilità sono potenziare le pulsioni positive, che fanno da argine e deviano queste tendenze aggressive che vanno poste sotto il controllo della ragione, in grado di valutare gli effetti negativi della guerra sull’individuo e sulla collettività. Oggi le neuroscienze hanno dimostrato che effettivamente il comportamento e le decisioni dipendono fortemente dalle emozioni, che risiedono e si sviluppano in strutture cerebrali specifiche, appartenenti alla parte primordiale dell’encefalo, intimamente connesse con quelle deputate al ragionamento, che hanno sede nella corteccia frontale, più recente nella scala evolutiva. In ultima analisi la guerra nasce dentro l’uomo, siamo fratelli nemici, come Caino e Abele. Secondo la Bibbia Caino uccide suo fratello Abele perché è stato preferito da Dio; non riesce a dominare la sua invidia, la sua gelosia; la pulsione negativa di odio e distruzione prevale su quella positiva e sfugge al controllo della ragione. È il primo omicidio della storia, ma è anche un fratricidio. Un fratricidio che si ripete ad ogni guerra. L’uomo non sembra comprendere che ogni altro uomo è suo fratello, perché vive sulla stessa terra, appartiene alla stessa famiglia umana, ha la stessa origine e lo stesso destino. Ma non per questo ci si deve arrendere all’ineluttabilità della guerra. Bisogna favorire la crescita culturale personale e collettiva, che affermi la negazione della guerra come strumento per risolvere i contrasti fra stati (non esiste una guerra “giusta”), promuovere l’affermazione della giustizia e della pace come condizione esistenziale, bene necessario e diritto umano fondamentale e sostenere il rafforzamento di organismi internazionali sovranazionali capaci di intervenire in maniera risolutiva in caso di infrazione delle regole di convivenza internazionale. A ben riflettere tutte queste azioni sono razionali e se intraprese e perseguite, segnerebbero anche a livello collettivo il predominio della ragione sulle pulsioni istintive di distruzione e di morte.
Angelo Gatta Professore Emerito di Medicina Interna Università di Padova