La sindrome epatorenale è una grave complicanza della cirrosi epatica, nella quale i reni, pur rimanendo strutturalmente intatti, non ricevono il flusso sanguigno necessario a causa di un’eccessiva dilatazione dei vasi sanguigni periferici. Fino a pochi decenni fa, la sindrome epatorenale era considerata una condizione irreversibile, destinata a progredire fino alla morte del paziente.Negli anni ‘50, gli studi condotti a Londra da Hecker e Sherlock evidenziarono come il trattamento con vasocostrittori fosse in grado di migliorare temporaneamente la funzione renale.
In questo contesto, la scoperta della terlipressina ha segnato una svolta. La terlipressina è un analogo della vasopressina, ma con maggiore specificità per i recettori V1 (la cui stimolazione causa vasocostrizione) rispetto ai recettori V2 (che invece causano un riassorbimento di acqua a livello renale).
Questo farmaco, introdotto negli anni ‘70, agisce come vasocostrittore splancnico (area dell’addome dove si verifica la maggiore vasodilatazione nella cirrosi), riducendo il flusso di sangue in questo distretto e migliorando la perfusione renale. La terlipressina è stata utilizzata negli anni ’80 per ridurre acutamente la pressione portale in pazienti con emorragia da varici esofagee, dimostrandosi molto efficace nel controllare il sanguinamento in combinazione con il trattamento endoscopico. Da allora viene utilizzata abitualmente nella pratica clinica per questa indicazione.
Successivamente la terlipressina è stata valutata come opzione terapeutica nel il trattamento della sindrome epatorenale ed è importante sottolineare il ruolo che hanno avuto i ricercatori europei e dell’Università di Padova nel provarne l’efficacia.
Nel 2002, ricercatori francesi e spagnoli hanno mostrato che la terlipressina in associazione all’albumina era in grado di determinare una risoluzione della sindrome epatorenale. Successivamente nel 2008, ricercatori spagnoli ed americani hanno confermato la maggiore efficacia della terlipressina rispetto al placebo (farmaco inerte) in pazienti con sindrome epatorenale. Successivamente, gli studi italiani, coordinati dall’Università di Padova, hanno dimostrato che la terlipressina è più efficace rispetto ad altri vasocostrittori e che l’infusione continua è più efficace e meglio tollerata rispetto alla somministrazione con dosi intermittenti. Inoltre, i ricercatori padovani hanno recentemente dimostrato come identificare i pazienti a maggior probabilità di beneficiare dal trattamento con terlipressina, e come ottimizzare il trattamento nei pazienti in lista d’attesa per trapianto di fegato.
Per effetto di questi studi, al giorno d’oggi, la sindrome epatorenale non è più considerata una condizione irreversibile e circa il 40-60% dei pazienti trattati con terlipressina ed albumina ottiene una significativa ripresa della funzione renale.
In conclusione, la scoperta della terlipressina rappresenta un traguardo importante nella lotta contro le complicanze della cirrosi epatica. Questa scoperta, frutto di un percorso di ricerca europeo e italiano, ha permesso di migliorare le opzioni terapeutiche per i pazienti con malattie epatiche avanzate.
Salvatore Piano Professore Associato di Medicina Interna Università di Padova