La colestasi è un rallentamento o un blocco del flusso della bile, un fluido prodotto dal fegato che aiuta a digerire i grassi. In condizioni normali, la bile fluisce dal fegato all’intestino tenue, ma in caso di colestasi si accumula nel fegato. Questo provoca un aumento nel sangue di sostanze normalmente eliminate con la bile, come gli acidi biliari. La colestasi intraepatica della gravidanza è una condizione temporanea che si manifesta esclusivamente durante la gravidanza, si risolve con il parto e di solito non è correlata a malattie epatiche precedenti. Sebbene le cause non siano del tutto chiare, si ritiene che fattori come la predisposizione genetica e i cambiamenti ormonali (estrogeni e progesterone) durante la gravidanza giochino un ruolo importante. I sintomi della colestasi iniziano di solito nel secondo o terzo trimestre e includono: prurito intenso, soprattutto su palmi delle mani, piante dei piedi o su tutto il corpo; stanchezza; sensazione di fastidio nella parte destra dell’addome (zona del fegato); perdita di appetito; nausea; urine scure e feci pallide o oleose; colorazione giallastra della pelle e degli occhi (ittero) meno comunemente. La colestasi colpisce più spesso donne con gravidanze gemellari, più avanti con l’età o con una storia familiare o personale di colestasi in precedenti gravidanze. Un segnale distintivo è il prurito intenso senza eruzioni cutanee, che aiuta a distinguere questa condizione da altre possibili cause. La diagnosi richiede una valutazione medica completa, esami del sangue per valutare i livelli di enzimi epatici (transaminasi e fosfatasi alcalina), bilirubina e acidi biliari (tipicamente elevati nella colestasi), esami per escludere altre cause, come epatiti virali ed un’ecografia dell’addome per verificare che non ci siano cause di ostruzione dei dotti biliari. Per la donna incinta, i sintomi come il prurito sono fastidiosi ma raramente pericolosi. In casi rari, può verificarsi una temporanea alterazione dell’assorbimento dei grassi. Per il bambino, invece, i rischi possono essere più seri, tra cui: parto prematuro (prima della 37ª settimana), morte fetale intrauterina o alla nascita. Tali rischi aumentano con livelli più elevati di acidi biliari nel sangue della madre. Il trattamento di tale condizione mira a ridurre i sintomi e proteggere il bambino da eventuali conseguenze. Il farmaco di prima scelta è l’acido ursodesossicolico (UDCA) che riduce i livelli di acidi biliari ed allevia il prurito. Altri farmaci, come antistaminici o colestiramina, possono essere usati per gestire i sintomi in alcune pazienti. È essenziale un attento monitoraggio del benessere del bambino e potrebbe essere necessario indurre il parto prima della data prevista se i livelli di acidi biliari sono molto alti. Dopo il parto, i sintomi si risolvono di solito entro 2-3 settimane ed è sicuro allattare il proprio bambino. Purtroppo, non esistono misure comprovate per prevenire la colestasi. Tuttavia, se si è già sofferto di questa condizione in passato, è meglio evitare farmaci contenenti estrogeni o progesterone, poiché possono scatenare un episodio di ittero. Chi ha già avuto la colestasi in una gravidanza ha un’alta probabilità (fino al 50-80%) che la condizione si ripresenti in successive gravidanze. È, perciò, molto importante informare il medico di eventuali episodi precedenti al fine di ricevere un adeguato monitoraggio durante la gravidanza.
Roberta Gagliardi Dottoranda di ricerca Clinica Medica 5 Azienda Ospedale Università di Padova